Può bastare raccontare la passione, morte e risurrezione del Signore? No, assolutamente. Non è un pezzo di letteratura o un testo scritto pe il teatro o il cinema. E’ un fatto da incontrare e da celebrare. Non si tratta di qualcosa da studiare o da capire, bensì di un fatto salvifico da incontrare e vivere.
La domenica delle Palme ci fa entrare in una processione di accoglienza nella quale agitare ramoscelli di ulivo per poi farci inginocchiare al momento della memoria della morte di Gesù: “detto questo, spirò”.
Da questa domenica siamo introdotti ad altri gesti come la lavanda dei piedi, il bacio della croce, una notte di veglia festosa. Viviamo il tempo di grazia nel quale tutto il nostro corpo è coinvolto. Gesù con il suo corpo offerto e risorto salva tutto il nostro corpo. Nel suo corpo glorificato Egli arriva fino al Padre. Tutto del suo corpo entra in una storia che salva: Il suo capo è unto (cristo) con olio profumato; nel pane e nel vino ci consegna il segno sacramentale della sua carne e del suo sangue. Nel Getsemani e sulla croce invoca il Padre chiamandolo “abbà”, parola affettuosa che, dal cuore, attraverso le labbra, arriva al cielo. Il suo corpo dalla faccia al capo, alle mani, ai piedi, al costato riceverà il bacio del tradimento, gli sputi, gli schiaffi, le spine e i chiodi. Ma con questo stesso corpo martoriato risorgerà. Da un corpo sofferente e ucciso a un corpo risuscitato e glorificato.
Perché tutto questo? Per la concretezza della salvezza. Essa non scaturisce dalla lettura di un libro sacro o da una conferenza erudita, ma dai sacramenti, da questo incontro reale con la grazia che entra nel nostro essere corporeo fatto di carne, ossa, mente, cuore e spirito. Tertulliano nel III secolo scriveva: “La carne è il cardine della salvezza”.
Se in questa settimana santa ci avviciniamo solo per tradizione, per celebrare una ricorrenza, ancora una volta ci scivolerà addosso senza effetti. Se invece vogliamo che incida nella nostra esistenza, dobbiamo permettere al fatto cristiano di invadere il nostro corpo, vivere le liturgie in profondità più che interpretarle al meglio. Impariamo il Cristo morto e risorto a viverlo nel digiuno, nella preghiera, nelle occasioni che la provvidenza ci regalerà per autentici atti di comunione, di carità e di misericordia. Allora la Pasqua o la portiamo incisa nel corpo o non è salvezza. Col corpo di Cristo siamo stati amati e con il nostro corpo guarito e santificato amiamo.